Quando si parla dei Beatles poche cose sono certe e valide per tutti; l'unico giudizio che sicuramente accomuna i fans è che Ringo Starr stia simpatico ad ognuno. Il batterista dei Beatles, membro più anziano ed ultimo ad entrare nella formazione, si è fatto fin da subito apprezzare dal pubblico per la sua faccia buffa e il suo sorriso contagioso, nonché per la sua abilità nel suonare la batteria che ancora oggi fa scuola.
Una caratteristica che lo contraddistingue è quella di uscirsene ogni tanto con dei malapropismi, involontarie frasi buffe che piacevano molto a John Lennon, il quale le chiamava "ringoismi". Alcune di queste hanno segnato la storia della band.
Il brano "A hard day's night" deve il suo titolo proprio ad un ringoismo. Nel 1963 al termine di un concerto e di una giornata particolarmente estenuante per il quartetto, Ringo pronunciò la frase "It's been a hard day" (È stata una dura giornata) per poi accorgersi che fosse già calata la sera e aggiungere "...'s night". L'involontario ossimoro fece molto ridere John Lennon, che lo volle inserire nel suo primo libro "In His Own Write", uscito il 23 marzo 1964. Pochi giorni dopo, agli inizi di aprile, la frase venne ricordata (e poi scelta) durante una seduta per decidere il titolo del primo film dei Beatles. Necessitando questo di una title track, John Lennon si incaricò di scriverla, e così nacque il pezzo che finì al primo posto nelle classifiche sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti.
Anche il titolo della canzone "Tomorrow never knows" nasce da una risposta che Ringo Starr diede durante un'intervista nel 1964, e che piacque moltissimo a John. David Coleman della BBC aveva chiesto al batterista "What can you say?" e questi aveva risposto "Tomorrow never knows".
"È che mentre dicevo una cosa me ne veniva in mente un'altra, e finivo per confonderle. John se le segnava, le mie frasi." cercò di giustificarsi Ringo.
Persino nella genesi di un capolavoro dei Beatles quale "A Day in the life" c'è lo zampino creativo e naif di Ringo. A Lennon e McCartney sarebbe piaciuto inserire nella canzone il crescendo più potente che un'orchestra potesse suonare; un'intera orchestra però costava troppo, quindi il produttore George Martin si oppose. Sembrava un'idea abbandonata sul nascere, finché nello studio di registrazione non si udì la voce di Starr. Il batterista era famoso per le sue idee strampalate, che la band sempre alla ricerca di sperimentazioni frequentemente accettava. Quella volta Starr propose: "Se un'orchestra costa troppo, perché non chiamiamo mezza orchestra e la registriamo due volte?" L'idea piaque a tutti, e così fecero.
Nell'aprile 1966 i Rolling Stones fecero uscire un album intitolato "Aftermath" ("conseguenze"), e Ringo Starr propose di dare all'album a cui i Beatles stavano già lavorando il titolo di "After Geography". L'idea divertì la band per qualche tempo, ma poi non fu portata avanti e l'album uscì con il titolo "Revolver". Gli Stones dal canto loro non ricambiarono la cortesia, e nel dicembre 1969 fecero uscire l'album "Let It Bleed" il cui titolo è una chiara parodia del "Let It Be" beatlesiano. Attenzione: è vero che l'album "Let It Be" uscì solo nel 1970, ma gli Stones probabilmente avevano avuto modo di ascoltare il brano che era già stato inciso nel gennaio 1969.
Nel 1969 i Beatles volevano realizzare un LP intitolato "Get Back", ma i risultati delle sessions di registrazione non li soddisfacevano. Capendo che da lì a poco si sarebbero sciolti, non volevano terminare la loro storia con un brutto album, e decisero quindi di abbandonare il progetto "Get Back" per dedicarsi ad un altro disco.
Il nuovo lavoro avrebbe dovuto intitolarsi "Everest" e prevedeva una session fotografica da tenersi sulla cima himalayana. Le registrazioni andavano bene, ma al momento di fare la foto per la copertina nessuno dei quattro aveva voglia di intraprendere un viaggio così lungo e difficoltoso. La soluzione, come spesso accadeva, venne da Starr. Quella volta Ringo propose: "Perché non facciamo la foto qua sotto, e intitoliamo l'album Abbey Road?" Il progetto di un album intitolato "Everest" venne quindi abbandonato, ma a favore di un'idea e di una copertina che poi rimasero nella storia. (Vedi approfondimento su "Abbey Road")
Una caratteristica che lo contraddistingue è quella di uscirsene ogni tanto con dei malapropismi, involontarie frasi buffe che piacevano molto a John Lennon, il quale le chiamava "ringoismi". Alcune di queste hanno segnato la storia della band.
Il brano "A hard day's night" deve il suo titolo proprio ad un ringoismo. Nel 1963 al termine di un concerto e di una giornata particolarmente estenuante per il quartetto, Ringo pronunciò la frase "It's been a hard day" (È stata una dura giornata) per poi accorgersi che fosse già calata la sera e aggiungere "...'s night". L'involontario ossimoro fece molto ridere John Lennon, che lo volle inserire nel suo primo libro "In His Own Write", uscito il 23 marzo 1964. Pochi giorni dopo, agli inizi di aprile, la frase venne ricordata (e poi scelta) durante una seduta per decidere il titolo del primo film dei Beatles. Necessitando questo di una title track, John Lennon si incaricò di scriverla, e così nacque il pezzo che finì al primo posto nelle classifiche sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti.
Anche il titolo della canzone "Tomorrow never knows" nasce da una risposta che Ringo Starr diede durante un'intervista nel 1964, e che piacque moltissimo a John. David Coleman della BBC aveva chiesto al batterista "What can you say?" e questi aveva risposto "Tomorrow never knows".
"È che mentre dicevo una cosa me ne veniva in mente un'altra, e finivo per confonderle. John se le segnava, le mie frasi." cercò di giustificarsi Ringo.
Persino nella genesi di un capolavoro dei Beatles quale "A Day in the life" c'è lo zampino creativo e naif di Ringo. A Lennon e McCartney sarebbe piaciuto inserire nella canzone il crescendo più potente che un'orchestra potesse suonare; un'intera orchestra però costava troppo, quindi il produttore George Martin si oppose. Sembrava un'idea abbandonata sul nascere, finché nello studio di registrazione non si udì la voce di Starr. Il batterista era famoso per le sue idee strampalate, che la band sempre alla ricerca di sperimentazioni frequentemente accettava. Quella volta Starr propose: "Se un'orchestra costa troppo, perché non chiamiamo mezza orchestra e la registriamo due volte?" L'idea piaque a tutti, e così fecero.
Nell'aprile 1966 i Rolling Stones fecero uscire un album intitolato "Aftermath" ("conseguenze"), e Ringo Starr propose di dare all'album a cui i Beatles stavano già lavorando il titolo di "After Geography". L'idea divertì la band per qualche tempo, ma poi non fu portata avanti e l'album uscì con il titolo "Revolver". Gli Stones dal canto loro non ricambiarono la cortesia, e nel dicembre 1969 fecero uscire l'album "Let It Bleed" il cui titolo è una chiara parodia del "Let It Be" beatlesiano. Attenzione: è vero che l'album "Let It Be" uscì solo nel 1970, ma gli Stones probabilmente avevano avuto modo di ascoltare il brano che era già stato inciso nel gennaio 1969.
Nel 1969 i Beatles volevano realizzare un LP intitolato "Get Back", ma i risultati delle sessions di registrazione non li soddisfacevano. Capendo che da lì a poco si sarebbero sciolti, non volevano terminare la loro storia con un brutto album, e decisero quindi di abbandonare il progetto "Get Back" per dedicarsi ad un altro disco.
Il nuovo lavoro avrebbe dovuto intitolarsi "Everest" e prevedeva una session fotografica da tenersi sulla cima himalayana. Le registrazioni andavano bene, ma al momento di fare la foto per la copertina nessuno dei quattro aveva voglia di intraprendere un viaggio così lungo e difficoltoso. La soluzione, come spesso accadeva, venne da Starr. Quella volta Ringo propose: "Perché non facciamo la foto qua sotto, e intitoliamo l'album Abbey Road?" Il progetto di un album intitolato "Everest" venne quindi abbandonato, ma a favore di un'idea e di una copertina che poi rimasero nella storia. (Vedi approfondimento su "Abbey Road")
Articolo originale pubblicato il 04/12/2017 su Onda Musicale
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