Quarant'anni fa l'inizio del periodo sperimentale del musicista.
Nella musica italiana c'è una ferita aperta da quarant'anni, e non ancora rimarginata. Nel 1982 uscì "E già", il primo di una serie di album di Lucio Battisti realizzata senza i testi di Mogol, e dalle sonorità più elettroniche. Molti Italiani non capirono questa scelta, ma Battisti era sempre stato uno sperimentatore. Fino dai suoi esordi Lucio aveva cercato di rivoluzionare le sue canzoni, inserendovi soluzioni prese dalla musica straniera e da diversi generi. La sfida principale di Battisti era però con se stesso: si stufava in fretta delle vecchie canzoni, voleva continuamente produrne di nuove che fossero al passo con le mode musicali del momento.
Nel 1979 iniziò il progressivo allontanamento da Mogol che, oltre a non fare più il paroliere per Battisti, smise di essere l'amico di una vita assieme. Le motivazioni della separazione non sono mai state chiarite del tutto, forse perché non c'è nulla da dire in merito: i rapporti tra le persone a volte si logorano, soprattutto tra chi passa assieme sia la vita professionale sia quella privata per 15 anni. L'ultimo album a cui hanno collaborato, intitolato "Una giornata uggiosa", uscì nel febbraio del 1980.
"Io la musica la concepisco come, credo, ogni lavoro debba essere concepito. Un modo per potersi rinnovare, per poter trovare nuovi stimoli, che non diventi mai noioso, pesante da portare avanti... Adesso sto scrivendo nuove musiche e ci saranno inevitabilmente molti punti in contatto con quello che ho fatto prima. Però ho già scritto quattro, cinque cose e mi accorgo che sono già da un'altra parte. Ho paura di chi ha idee molto precise." (Lucio Battisti, dalla sua ultima intervista datata 1979).
L'errore è nostro nel considerare quel gesto come "la separazione da Mogol". In realtà la questione ha radici più profonde, si tratta di un periodo in cui Lucio ha cambiato molte cose: ha deciso di lasciarsi per l'ennesima volta il suo personaggio alle spalle e ripartire con un progetto musicale tutto nuovo. Il primo frutto di questa svolta fu "E già" del 1982, un album suonato solo con sintetizzatori e arrangiamenti elettronici, in cui i testi sono scritti dalla moglie del musicista. Il disco registrò ottime vendite, ma il pubblico probabilmente lo acquistò perché convinto si sarebbe trattato dell'ennesima prova del Battisti classico. Per volontà dello stesso Lucio, infatti, l'album non era stato anticipato da una campagna promozionale. La rottura tra Battisti e gli Italiani (o almeno una parte di essi) non fu radicale, ma da allora cominciò lentamente a farsi strada. Dal 1986, con l'album "Don Giovanni", iniziò la collaborazione tra Lucio e il paroliere Pasquale Panella, che proseguirà fino alla morte del musicista. La frattura tra il cantautore e il grande pubblico divenne irreparabile.
"Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali: devo distruggere l'immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso." (Lucio Battisti, dalla sua ultima intervista datata 1979).
Ancora una volta l'errore è nostro. Non possiamo approcciarci a quei dischi aspettandoci di trovare Battisti che suona la chitarra davanti a un falò. Il musicista non voleva rimanere legato a quell'immagine, ma aveva bisogno di reinventarsi continuamente. Dobbiamo pertanto accostarci agli album degli anni '80 e '90 come se fossero di un altro artista.
I dischi "bianchi" di Battisti (così chiamati in base al colore che domina le loro copertine) presentano sonorità moderne per l'epoca: dance, elettronica, new wave, techno e drum'n'bass. Tastiera, sintetizzatore e batteria elettronica dominano la scena; le sonorità artificiali sincopate, a volte spaziali, possono ricordare David Sylvian, i New Order o i Garbage. La musica sembra scritta per essere messa durante una serata in discoteca negli anni '80 e '90: non possiamo incolpare Lucio se la dance dell'epoca fosse basica, e se è invecchiata male. La voce di Battisti spazia dal divertente rap di "Ecco i negozi" al falsetto di "La voce del viso", ma si fa anche robotica in "E già".
I testi di Panella all'epoca ci sembravano solo degli incomprensibili "cadaveri squisiti", oggi forse siamo maturi abbastanza per cominciare a capirli, o almeno per non osteggiarli. A volte viene il dubbio se siamo noi a non capire il testo troppo ermetico, o se è lui a prenderci in giro con parole a caso. Ma in fondo anche versi come "Non piangere salame dai capelli verde rame" non è che fossero poi così in bolla. Ritornando a Panella (peraltro autore anche di "Vattene amore" cantata da Mietta e Amedeo Minghi), i suoi testi sono criptici, divertenti, lirici, metaforici, ricchi di giochi di parole e doppi sensi. Riescono persino a ricordare quelli di Battiato in versi come "Si fa la trigonometria / Nei finestrini corrispondenti agli occhi alessandrini" (da "La metro eccetera"). E sempre a proposito dei tanto vituperati testi di Panella, quale altro paroliere avrebbe potuto farvi ascoltare la parola "sesquipedale" in una canzone ("Così gli dei sarebbero")? I brani di questo periodo che consiglio di ascoltare sono "La tua felicità" (E già), "Il diluvio" (Don Giovanni), "Per altri motivi" (L'apparenza), "La metro eccetera" (Cosa succederà alla ragazza), "Hegel" (Hegel).
Voglio essere chiaro: non sto dicendo che gli "album bianchi" di Battisti siano migliori di quelli realizzati con Mogol. Il punto è che dobbiamo smettere di reagire a questi dischi come dei fidanzati lasciati, ma da persone adulte e prenderli per quello che sono. Gli ultimi sei album di Battisti meritano una riscoperta, o almeno un riascolto. E il suo autore, morto a soli 55 anni nel 1998, merita di riconciliarsi con il suo pubblico.
Articolo originale pubblicato su Onda Musicale il 4/09/2022.
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