26 febbraio 2006
OH SHIT! - Primo giorno di shit
Settembre. È il primo giorno di scuola e Futuro non si è ancora iscritto; si precipita quindi in segreteria e grida alla prima impiegata che trova: “Io devo iscrivermi subito: è un’emergenza!” Mentre la corpulenta e poco femminile segretaria gli rovescia addosso un camion di insulti, che teneva da parte dallo scorso giugno, Futuro pensa: “La devo smettere di parlare come un supereroe, altrimenti mi scopriranno e io non potrò stare in questa scuola e in questa città come un ragazzo normale!” Finiti gli improperi la segretaria estrae da sotto il banco il fascicolo delle iscrizioni e domanda a Futuro: “Porcodiquà, porcodilà! E come ti chiami, mister tempismo?” al che il ragazzo pensa: “Non posso dirle il mio vero nome…” Futuro lancia un’occhiata sull’elenco con i nominativi degli iscritti e vede che a fianco del nome “Goffredo Porcello” c’è la scritta “Ritirato”, e allora dice: “Sono Goffredo Porcello… mi ero ritirato ma poi ci ho ripensato.” La segretaria tira una riga di penna sopra la parola “Ritirato” ed esclama ironica: “Complimenti! Oltre che ‘mister tempismo’ sei anche ‘mister decisione’, eh? … La tua classe è in fondo al corridoio… fila!”
In corridoio e con il modulo d’iscrizione in mano, Futuro pensa: “Oh, shit! Sono qui da solo pochi minuti e già mi sono inimicato la segretaria… oltretutto: ma che razza di nome è ‘Goffredo Porcello’? Passi il ‘Goffredo’… e pensare che dovrò portare questo nome fino a che sto in questa città, se non voglio che venga scoperta la mia vera identità.”
Futuro… anzi: Goffredo appoggia la mano sulla maniglia della porta della sua aula e pensa: “Futuro… anzi: Goffredo non preoccuparti di quello che è appena successo, entra in questa classe, sfodera tutta la tua simpatia, il tuo miglior sorriso e fatteli amici!” dopodiché bussa, preme la maniglia ed entra. Sfoggiando il suo sorriso numero 65 (ogni supereroe ha un centinaio di ottimi sorrisi in catalogo) si avvicina al professore e gli dice: “Buongiorno, scusi il ritardo: sono Goffredo Porcello, mi ero iscritto, mi sono ritirato, ora ci ho ripensato e mi sono iscritto nuovamente.”
Il professore risponde ironico: “Complimenti, sei proprio ‘mister decisione’! E oltre a ‘mister decisione’ sei anche ‘mister tempismo’: sei in ritardo di un quarto d’ora! Porcodiquà, porcodilà!”
Futuro pensa: “Hmm… questo deve aver fatto la scuola di dizione assieme alla segretaria…”
Il professore prosegue: “Ai tuoi compagni ho già distribuito un test d’ingresso per vedere cosa si ricordano dall’anno scorso. Prendine uno anche tu e siediti in quel banco vuoto, ‘mister tempismo e decisione’!”
Futuro prende il foglio e si siede nel banco, che si trova proprio davanti alla cattedra, e pensa: “Oh, shit! Non sta andando per niente bene questo inizio di vita nuova!”
Futuro guarda il foglio. Vede che è un test predisposto per la lettura al computer, che prevede come risposta un pallino su V(ero) o F(also). Futuro legge in alto sul foglio “Mod. 37/B” e pensa: “Dunque… questo è un test predisposto per la lettura al computer, modello ‘37/B’. Prevede come sequenza di risposte esatte: V-V-F-V-F-V-F-V-F-F-V-F-F-V…” e comincia a segnare i pallini corrispondenti. Ad un certo punto però si blocca e pensa: “Eh no! Non posso usare le mie super conoscenze per fare il tema! Mi ero promesso che non avrei mai più usato i miei super poteri, e inoltre se rispondo giusto a tutte le domande capiranno che non sono un ragazzo normale. Vediamo… penso che la media della classe sarà 6, e visto che le domande sono 100 devo rispondere correttamente a 60 e sbagliarne 40.” Futuro compila il resto del test seguendo questo ragionamento, e pensa: “Che bello! Prenderò un 6 come tutti i miei compagni di classe. Sarò uno di loro!”
Alla fine dell’ora i ragazzi consegnano i test al professore che gli dice: “Porcodiquà, porcodilà! Fra un’ora ve li porto corretti.” e poi vanno tutti al bagno. Futuro si ritrova così da solo in classe e pensa: “Perché sono tutti andati ai sevizi? Boh! comunque se voglio che mi considerino uno di loro è meglio che ci vada anch’io.” e si dirige verso il bagno. Apre la porta e la scena che si trova di fronte quasi lo spaventa. I suoi compagni sono tutti lì, appoggiati ai lavandini o appollaiati sui davanzali, e l’aria è attraversata dal basso verso l’alto da rivoli di fumo che sembrano provenire direttamente dal sulfureo inferno; escono invece dalle loro bocche e dalle loro mani. L’aria nella stanza è irrespirabile, ma quello che più incute terrore in Futuro sono i loro sguardi puntati inesorabilmente su di lui, come se fossero un branco di iene che non ha fretta di sbranare una carogna, perché tanto sa che ormai quella non può più scappare. Futuro chiude la porta alle sue spalle con una mano tremante e poi appoggia la schiena alla porta stessa. Alex, il capobranco, lo apostrofa subito: “Ma tu ti chiami sul serio ‘Goffredo Porcello’?” al che Futuro pensa: “Oh, shit! Ha scoperto la mia vera identità, o quantomeno ha dei dubbi. Se è così devo subito rispondere qualcosa… devo dire qualcosa… qualsiasi cosa…” Futuro apre appena appena la bocca e sussurra: “Sì.” al che Berto, il tirapiedi di Alex, esclama: “Che nome di shit!” Futuro pensa: “Uah! Che colpo mi sono preso, ma ora sono così felice! Volevano solo prendere in giro me e il mio stupido nome… In effetti non ho molto da essere felice! Oh, shit!”
Un’ora dopo i ragazzi sono in classe perché è appena entrato il professore, che comincia subito a distribuire i test corretti, in ordine alfabetico. Futuro pensa: “Che bello! Fra un istante potrò dimostrare ai miei compagni di essere come loro!” ma ad un certo punto si accorge che il prof. ha saltato il suo nome. Quando Futuro comprende che il suo test è stato volutamente lasciato per ultimo, è ormai troppo tardi. “Porcello!” esclama ad alta voce il prof., e Futuro si avvicina alla cattedra. Il professore prosegue: “Porcodiquà, porcodilà! Il tuo è il test più strano che io abbia mai visto in trent’anni di carriera! Hai risposto correttamente alle prime 60 domande e hai sbagliato le successive 40. Secondo me è andata così: hai copiato le prime 60 risposte dal libro, e poi quando sei stato sicuro di avere ormai la sufficienza lo hai messo via e hai sparato le successive risposte. È andata così o no?”
Futuro pensa: “Non posso dire la verità: dovrei rivelare di essere un supereroe! Ma allora cosa posso rispondere…”
Futuro sta ancora riflettendo su cosa rispondere quando il professore interrompe i suoi pensieri: “Questo doveva essere solo un test d’ingresso senza punteggio, ma visto che tu hai fatto il furbo vi darò il voto anche su questa prova, e tu prendi un 2!”
Futuro pensa: “Oh, shit! Anche i miei voti fanno schifo! Al liceo dei supereroi ero il primo della classe, a pari merito con tutti gli altri!”
Durante la ricreazione, i ragazzi sono come al solito tutti in bagno. I compagni guardano Futuro peggio della volta precedente, e Alex gli dice: “Certo che sei proprio un pezzo di shit! Per colpa tua ho preso 5!” al che Berto aggiunge: “Già!” e gli altri: “Anch’io!”, “Anch’io!” Alex si alza in piedi, si avvicina a Futuro, lo prende per il bavero della camicia, lo solleva da terra e lo scaglia all’interno di un gabinetto, poi chiude la porta con un calcio gridandogli: “Pezzo di shit!” All’interno del gabinetto, seduto sopra al water, Futuro pensa: “Oh, shit! Ma come fanno i ragazzi normali a vivere in questo mondo orribile, assurdo, senza regole e alla rovescia che è la scuola!? Sono così disperato che rimpiango il liceo dei supereroi e la mia vita precedente. Quasi quasi abbandono tutto… No, non posso farlo, non posso arrendermi dopo un solo giorno. Che razza di supereroe in incognito sono! Devo combattere e poi combattere ancora, fino alla vittoria finale. La sconfitta di oggi renderà più dolce la vittoria di domani.” Futuro alza un pugno al cielo e grida tra sé e sé: “Sempre duro, avanti e a testa alta, anche di fronte alla sconfitta!” Poi pensa: “Devo trovare un modo per riconquistare la fiducia e l’amicizia dei miei compagni… ci sono!” ed esce dal gabinetto e dal bagno sotto gli occhi dei suoi compagni, pieni di disprezzo. Vi rientra un minuto dopo con un vassoio pieno di brioche e dice: “Ta-daa! Queste brioche sono tutte per voi, ve le offro io!” al che Alex gli si avvicina e gli dice: “Cos’è, adesso credi di poter comperare la nostra amicizia sventolandoci in faccia i tuoi soldi?!” Berto aggiunge: “Già!” Poi Alex prende una brioche e la schiaccia in faccia a Futuro, facendogli colare tutta la marmellata sui vestiti, dicendogli: “Sfigato!” Berto aggiunge: “Sfigato!” Tutti i compagni di classe escono dal bagno, tranne Futuro, che rimane qualche istante in piedi con il vassoio in mano e poi va a sedersi sul solito water e pensa: “Oh, shit! Perché non me ne va mai bene una?! Perché tutti i miei sforzi sono vani?! Oh, shit, shit, shit, shit, shit…”
19 febbraio 2006
OH SHIT! - Prologo
Diciotto anni fa in un super ospedale, a riparo da occhi indiscreti, ad una coppia di supereroi nacque un bel super bambino. Dopo che il super dottore lo ebbe fatto nascere guidandolo con la sua super vista e che la super ostetrica lo ebbe fasciato con le sue sette super braccia curiosamente super pelose, il bambino venne mostrato ai super genitori. Stringendolo tra le super braccia, papà Superdifensoredellumanità e mamma Superprotettricedellagiustizia erano entusiasti del nuovo nato, perché sapevano che avrebbe portato avanti con onore il nome della loro antica e gloriosa stirpe di supereroi.
Qualche settimana dopo i due super genitori portarono il super bebè al Supervecchiosaggiochevivesudiunasupermontagna-danonsisapiùquantianniecheèsempreluiadecidere-isupernomideisuperbambinidachemondoèmondo, che gli amici chiamano per brevità Supervecchiosaggiochevivesudiunasupermontagnada-nonsisapiùquantianniecheèsempreluiadecidere-isupernomideisuperbambini. Egli estrasse con cura dalla sua super libreria, contenente un solo libro, il volume “Il super grande super libro dei super nomi”, lo aprì con cura ad una pagina qualsiasi e scelse, sempre con molta attenzione ma sempre in maniera del tutto arbitraria, il super nome che più rappresentava la fierezza, l’onestà, il coraggio e il desiderio di giustizia che dovevano animare questo super bambino, in modo che al solo udire il suo nome i malvagi avrebbero capito chi era e che era meglio abbandonare ogni piano criminale piuttosto che incontrare un tale concentrato di egocentrismo. “Futuro!” sussurrò il Supervecchiosaggiochevivesudiunasupermontagna-danonsisapiùquantianniecheèsempreluiadecidere-isupernomideisuperbambini, per aggiungere un alone di mistero e sacralità alla cosa; “Cutugno?” chiese terrorizzato papà Superdifensoredellumanità che aveva capito male, perché obiettivamente il Supervecchiosaggiochevivesudiunasupermontagna-danonsisapiùquantianniecheèsempreluiadecidere-isupernomideisuperbambini aveva sussurrato il super nome super piano. “FUTURO!!!” urlò allora… egli (ragazzi: non ho più voglia di scrivere quel nome!) perdendo così il suo alone di sacralità e pure la sua super dentiera, che poteva continuare a vivere di vita propria e a mordere anche per anni dopo essere stata staccata dal corpo, un po’ come la coda delle lucertole. Così, con un super nome per il super bebè e con una super dentiera che ancora mordeva incastonata in un braccio, il super papà scese dalla montagna seguito a breve distanza dalla super moglie.
L’infanzia di Futuro trascorse veloce e serena… come solo l’infanzia di un supereroe può passare. Già da bambino Futuro dimostrava le doti di saggezza e altruismo tipiche dei supereroi: ad esempio una volta, vedendo il povero gatto di casa inseguito, senza alcuna possibilità di difesa, dal cane, trasformò quest’ultimo in un topo così fu lui a dover scappare dal felino senza alcuna possibilità di difesa; dopo pochi minuti non si seppe più nulla del cane-topo. Inoltre quando giocava con i soldatini, prima di farli combattere, donava loro la vita in modo che potessero essere fieri di morire in battaglia combattendo per la giusta causa. Così i soldatini di Futuro morirono tutti con i corpi orribilmente mutilati, le teste perforate dal proiettile di un cecchino bastardo che ti spara alle spalle, gli arti in putrefazione e senza aver raggiunto lo scopo della battaglia. Morirono però con molto onore: tutta la fierezza che può avere un soldatino di plastica che, nonostante abbia ammazzato decine di suoi simili, non ha raggiunto il fortino di lego sotto le tende del soggiorno (che è poi lo stesso onore di tutte le forze armate in tutto il mondo). I cadaveri dei soldatini andarono a fare compagnia al cane-topo nello stomaco del gatto.
Futuro crebbe, frequentò la scuola super elementare, le super medie e le super superiori, come tutti i bravi superereoi (anche perché non esistono supereroi non bravi).
Oggi Futuro diventa maggiorenne ed è quindi giunto il momento della sua investitura ufficiale a supereroe. Al mattino i suoi super genitori gli si avvicinano, raggianti, e il super padre gli dice: “Futuro, è giunto finalmente il momento in cui puoi scegliere che tipo di supereroe essere e alla protezione di cosa dedicare la tua vita.”
La super madre prosegue il discorso: “Allora, Futuro: vuoi essere un supereroe dell’aria, dell’acqua, del fuoco o della terra? Vuoi proteggere la libertà, la giustizia, l’economia o cos’altro?”
Futuro risponde con serietà e compostezza: “Super papà, super mamma, voi mi avete sempre detto che una volta diventato maggiorenne avrei potuto scegliere di fare quello che volevo e non sarei più dipeso dalle vostre decisioni…”
“Certo, super figliuolo…”
“Ho pensato a lungo a quello che sto per dirvi. Ebbene… NON VOGLIO FARE IL SUPEREROE!!!” urla Futuro perdendo tutta la sua serietà e compostezza.
“Ma super figliuolo, che cosa stai dicendo?!”
“Non ce la faccio più con questa storia del supereroe: è da una vita che mi rovinate l’anima programmando il mio futuro! Io voglio comportarmi come un ragazzo normale, fare amicizia con persone normali e voglio frequentare una scuola normale e non quell’orribile liceo per supereroi!”
La super madre si getta nelle super braccia del super marito e scoppia in super lacrime.
Il Super padre, compostamente, prosegue: “Futuro, guarda cosa stai facendo a tua madre!!! Comunque, hai preso la tua decisione e io non posso oppormi; posso però… CACCIARTI DA CASA!!! VATTENE SUBITO DA QUI!!!”
Così Futuro prende tutto quello che ha, si trasferisce in una nuova città, inizia a frequentare una nuova scuola e comincia una nuova vita… almeno ci prova!
12 febbraio 2006
Il principe
I costumi! Finalmente erano arrivati. Il pacco era giunto a casa di Marco quella mattina, ma lui aveva pazientemente aspettato la sera, in modo da poter avere tutti gli amici attorno a sé e condividere con loro la gioia dell’apertura. Ogni sera, ormai da mesi, i ragazzi provavano “Il principe” di Shakespeare nella cantina di Marco, e proprio in quella sala ora stavano per scoperchiare lo scatolone contenente tutti i costumi, che avevano ordinato alcune settimane prima.
Aprirono il pacco, e i vestiti erano persino più belli di quanto i ragazzi avessero immaginato. I costumi c’erano tutti, anche quelli da contadini, e i ragazzi, al colmo della gioia, li indossarono subito. Gli sembrava persino di rivivere la stessa felicità che provavano da bambini aprendo i regali di Natale. Lo scatolone non era ancora stato svuotato dal tutto, ma Davide individuò il suo vestito sul fondo. Un lembo, gli bastò scorgere un lembo soltanto per riconoscerlo. Lui doveva interpretare proprio il principe, l’unico nobile tra i personaggi popolari che animano la tragedia shakespiriana, e quel pezzetto di velluto verde con bordo dorato in fondo al pacco non poteva che essere suo. Estrasse quindi velocemente il suo costume e uscì dalla stanza, ove gli altri amici stavano indossando i loro vestiti, per andare a cambiarsi nel bagno, e poter fare così la sua entrata trionfale con il regale abito indosso.
Davide cominciò a togliersi i vestiti. Si sfilò i pantaloni per indossare quella strana calzamaglia nera aderente; lui aveva sempre detestato la calzamaglia, ma per la rappresentazione era disposto a questo ed altro. Il pezzo più bello era però il vestito vero e proprio: ampio, morbido, caldo, in velluto verde con i bordi ricamati d’oro. Mentre si cambiava, Davide pensava a tutti quei mesi passati a provare, e in cui ogni sera aveva dovuto mentire ai suoi genitori dicendogli che andava a studiare da Marco. I suoi genitori. Non che gli volessero male, ma che gli volevano bene non lo avevano mai dimostrato. Continuavano invece a punzecchiarlo, a criticarlo, a deridere ogni suo sogno e interesse. Per questo Davide gli aveva tenuta nascosta la sua passione e il suo impegno per la recitazione; sapeva già come sarebbe andata a finire se gliene avesse parlato. Avrebbero criticato il suo sogno, sarebbe stato deriso, avrebbero detto che solamente i matti dedicano tempo ad una cosa che non serve e che non produce lavoro, come la recitazione. Ma ora le cose sarebbero cambiate: Davide aveva quel costume stupendo, vedendolo con quello indosso i suoi genitori non avrebbero potuto dirgli che non sarebbe mai riuscito a fare niente, perché con quel vestito e con la prima rappresentazione in programma la domenica successiva lui era già arrivato. Non potevano assolutamente dirgli che aveva sbagliato tutto, come al loro solito.
Davide aprì la porta della sala: i suoi compagni si voltarono verso di lui, spalancando le bocche per lo stupore e allargandosi al passaggio del ragazzo. Loro erano gli amici, quelli che erano sempre stati con lui fin dall’infanzia, e ora loro stessi trovavano Davide bellissimo con quel costume. Tutti gli dicevano che stava bene, e che quello era il vestito più bello di tutti. Per Davide era un sogno, il momento più bello che avesse mai vissuto, e la sua gioia era accresciuta dal pensare che anche i suoi genitori avrebbero reagito nella stessa maniera, e avrebbero smesso di prenderlo in giro, forse, per sempre.
Il mattino dopo, Davide si svegliò con il sorriso sulle labbra. Era sicuro che la felicità della sera precedente sarebbe stata un tutt’uno con quella della mattina che cominciava. Quella notte, sebbene fosse buio, il ragazzo aveva attraversato la casa senza accendere le luci, per portare il vestito nella sua stanza evitando che i suoi genitori si svegliassero e lo vedessero prima del tempo. Ma era finalmente il momento. Davide si alzò, andò in bagno, si lavò e si pettinò “da principe”, tornò in camera e indossò il vestito.
Raggiante, si presentò ai suoi genitori in sala.
“Cos’è quell’affare? Toglitelo subito che sembri una donna! Cercati un lavoro invece di perdere tempo con questa roba!”
Davide rimase incredulo di fronte alle frasi che accolsero il suo ingresso. Come poteva la gioia della sera prima essersi trasformata in questa valanga di offese e derisione?
Il ragazzo corse a chiudersi nella sua stanza, si tolse il vestito, si gettò sul letto e si mise a piangere con la testa sotto al cuscino. Pianse, pianse a lungo, poi si rialzò, indossò il costume da principe, ed uscì da casa saltando dalla finestra della stanza, che dava sul terrazzo. Davide scese poi in strada e cominciò a camminare per la città, con il suo vestito indosso. La gente lo guardava o forse no, ma per lui questo non aveva importanza.
Il ragazzo attraversò le vie e passò molte case, fino a giungere alla periferia dell’abitato. Si ritrovò a pensare che la città è solo un grigio insieme di freddi angoli di cemento, il cui unico destino è la lenta disgregazione. Davide camminò ancora e arrivò tra le campagne. Avanzò attraversando un campo di grano, e pensò a come doveva sembrare buffo il suo vestito in quella situazione, visto da un osservatore esterno, ma non c’era nessuno. Il ragazzo si domandò cosa sarebbe successo se non avesse mentito ai suoi genitori, come sarebbe finita la cosa se gli avesse detto la verità fin dall’inizio. Si sarebbe conclusa nella stessa maniera, solo molto prima. Continuando nel cammino, Davide arrivò fino alla ferrovia. Si fermò un istante quando i suoi piedi si trovarono sul selciato tra le rotaie. Poi si girò di lato, e cominciò a camminare incontro al treno.
FINE
05 febbraio 2006
Gurù
È una domenica pomeriggio, quando Davide arriva a casa dei nonni. I due anziani abitano in un paesino nella Val di Fumo, così chiamata per la sua nebbia persistente anche d’estate. A scuola Davide ha preso il debito in matematica, e pertanto i suoi genitori lo hanno mandato lì per passare una settimana e poter studiare in tranquillità.
Il nonno lo accoglie sulla porta: "Benvenuto Davide, entra e accomodati."
"Ciao nonno, ciao nonna. Come state?"
"Bene, bene e tu? Hai fatto un buon viaggio?"
"Sì grazie."
Il nonno prosegue: "E' proprio una coincidenza fortunata che tu sia arrivato oggi che c'è la sagra di San Firmino, così stasera alla festa potrai conoscere tanti tuoi coetanei e passare le vacanze con loro invece che con noi, che siamo vecchi e noiosi."
"Ma dai, nonno. Lo sai che con voi non mi stufo mai!"
I nonni insistono, e d’altronde Davide è stanco per il viaggio e non ha voglia di studiare. Decide pertanto di andare in paese, alla sagra. Quella sera il ragazzo arriva al tendone sotto il quale c'è la festa e vede che vi sono molte persone, tra le quali tanti giovani. Mentre è lì che beve una bibita, Davide osserva che tutti i ragazzi hanno delle scritte sul volto e sulle braccia, quindi ferma uno di loro e gli chiede: "Scusa… perché avete tutti queste scritte?"
Quello gli risponde: "Tu non sei di qui, vero? Da noi a San Firmino, per tradizione, ognuno deve fare la sua firma sugli amici. Come ti chiami?"
"Davide."
Il ragazzo, rivolto agli amici, grida: "Hey, qui c'è Davide che non ha neanche una firma!"
Tutti i ragazzi circondano Davide, e lo riempiono di autografi. Anche lui si diverte a mettere la sua firma su di loro.
La mattina seguente Davide, ancora pieno di scritte sul corpo, si alza e il nonno gli chiede, ridendo: "Allora, hai fatto amicizie ieri sera?"
"Così tante che ora devo farmi il bagno!"
Dopo essersi lavato e aver fatto colazione, Davide vede che ormai è tardi, quasi ora di pranzo. È inutile mettersi a studiare, e decide quindi di uscire a farsi un giro.
Una volta fuori dalla porta, sta per incamminarsi verso il paese, quando pensa: “Lì ci sono già stato, vediamo dove porta la strada dall’altra parte.” Scopre così che questa si dirige verso la periferia agricola e le campagne. Proseguendo nel percorso, la strada si riduce sempre più, fino a diventare un sentiero, che si allunga in mezzo ai campi coltivati.
Ad un certo punto Davide si ferma lungo un sentiero che costeggia un piccolo campo di grano, e pensa: "Che bel paesaggio, e che quiete c'è qui. Quasi quasi vado in mezzo a quella distesa dorata e mi siedo." Davide entra nel campo, vi si siede e rimane qualche minuto a guardarsi intorno. Ad un certo punto sente dei passi che si avvicinano; si alza in piedi e si ritrova faccia a faccia con una ragazza. Lei è molto bella, ha i capelli e gli occhi neri, è vestita di da contadina e tiene un fascio di grano in braccio. Lui le dice: "Scusa se sono entrato nel tuo campo, volevo solo riposarmi un po'."
"Va bene, non ti preoccupare."
"Tu non c'eri ieri sera alla festa, vero?"
"No, non c'ero. Sono anni che non ci vado più."
"Perché?"
"Non mi piace stare in mezzo alla gente, preferisco rimanere qui sola, a casa mia."
"Oddio scusa, non mi sono neanche presentato. Io sono Davide."
"E io Gurù."
"Gurù?"
"Sì. E' un nome un po' strano, ma d'altronde quale nome è normale?"
"Hai ragione… Ascolta, ma perché una ragazza carina e simpatica come te se ne sta qui a casa sua, in mezzo alla campagna e isolata anche dal paese?"
"E' una vecchia storia, e non starò certo qui a raccontarla al primo ‘simpatico’ che passa!"
"A quanto sento però la compagnia la gradisci. Peccato che ora devo proprio tornare a casa. Ti va bene se torno questo pomeriggio?"
"Anche se ti dicessi di no, tu ci verresti lo stesso, giusto?"
"Ti trovo sempre qui?"
"Sì."
Davide torna a casa dai nonni e, mentre pranzano, racconta loro: "Mentre ero fuori a farmi un giro, ho conosciuto una strana ragazza che vive da sola in una casa in mezzo alla campagna. Si chiama Gurù."
La nonna esclama: "Gurù!" con aria spaventata.
Il nonno, teso anche lui, prosegue: "Ascolta Davide… capisco che può sembrarti una cosa strana, ma non devi frequentare quella ragazza."
"Perché, nonno?"
"Non ti posso spiegare il perché, è una storia troppo lunga, ma sappi che devi stare lontano da quella ragazza."
Davide risponde: "Va bene." ma poi pensa: "Come mai i nonni avranno reagito così quando gli ho nominato Gurù? ‘E' una storia troppo vecchia e lunga’ hanno detto sia lei sia il nonno... Io vorrei dargli ascolto, ma ho promesso a Gurù che sarei passato questo pomeriggio, e poi è così carina e simpatica, cosa può esserci di male?!"
Quel pomeriggio Davide avvisa i nonni che si reca in paese, e invece va da Gurù. Così fa anche il giorno dopo e quelli seguenti ancora, perché si sente attratto da lei. I due passano le giornate felicemente assieme, sedendo in campagna e parlando, fino a sabato mattina, quando lui le dice: "Gurù, io mi sono innamorato di te."
Gurù si alza in piedi di scatto e dice: "No... non va bene."
"Perché non va bene? Se il problema è che tu non mi ami, dimmelo."
"No… il male è proprio che ti amo anch'io."
"E allora dove sta il problema? Gurù, io sono seriamente innamorato di te, e ti amo con tutto il cuore."
"No Davide, io e te non ci possiamo mettere assieme... per via di una vecchia storia."
"Gurù, io sono disposto ad affrontare qualsiasi ostacolo pur di stare con te."
"Ho paura di farlo, ma ti spiegherò la situazione. Io ho un problema... un grosso problema fisico. Tutti i ragazzi con cui sono stata e che mi amavano, quando hanno visto il mio difetto sono fuggiti; è per questo che voglio essere cauta con te. Rifletti: sei davvero innamorato di me a un punto tale da poter ignorare questo problema, che ha fatto spaventare e fuggire altri? Vai a casa e riflettici con calma; se deciderai che vuoi comunque metterti assieme a me torna questo pomeriggio, altrimenti non venire mai più a cercarmi."
Davide corre a casa piangendo. Si rinchiude nella sua stanza e riflette, riflette a lungo. Si interroga più e più volte sul problema di Gurù, e su quale sia la scelta migliore. Infine prende la decisione, e torna dalla ragazza.
"Sei ritornato. Va bene, allora ti farò conoscere la mia storia."
Gurù conduce Davide a casa sua. Il ragazzo vede che davanti all'abitazione vi sono due tumuli di terra con due croci in legno malmesse, e domanda stupito: "Di chi sono quelle tombe?"
I due si avvicinano ai tumuli e Gurù risponde: "Sono dei miei genitori; morti qualche tempo fa. Prima è morta mia madre e un paio di giorni dopo mio padre si è ucciso perché non sopportava più il dolore. Li ho dovuti seppellire con le mie mani, ed è da allora che vivo da sola."
Davide nota che anche la madre della ragazza si chiamava Gurù.
"Vieni, ora entriamo nell’appartamento."
La casa è una vecchia abitazione contadina, ben tenuta ma che comunque sembra essere lì immutata da secoli.
Gurù porta Davide in camera sua e si mette di fronte a lui; senza dire una parola si spoglia e resta lì nuda.
La ragazza ha un corpo perfetto… ma ha i piedi da capra e Davide rimane impietrito. Lei gli dice: "Ecco qual è il mio difetto, e deriva da un'antica maledizione. Durante il medioevo un gruppo di streghe chiese a una mia antenata di entrare nel loro gruppo; lei rifiutò e loro per punirla le lanciarono contro questa maledizione: lei e tutte le sue discendenti avrebbero avuto i piedi da capra. Fu da quel momento che cominciarono a chiamarla Gurù, e il nome passò di generazione in generazione assieme al maleficio. Posso diventare come le ragazze normali solo una volta nella vita, trapassandomi i piedi con un pugnale, ma entro un'ora devo richiudere la ferita per non morire dissanguata, e sigillandola i miei piedi ritorneranno a essere quelli di una capra, per sempre."
La ragazza si avvicina a Davide e gli domanda: "Allora, mi ami ancora e sei disposto ad accettarmi così come sono, o ti disgusto e hai intenzione di fuggire, come tutti gli altri?"
Davide le guarda i piedi e non risponde, le guarda i piedi e non risponde, e infine la fissa negli occhi e le dice: "Sì, ti amo ancora e voglio passare tutta la vita con te."
"Davide, sei l'unico ragazzo che mi abbia mai amato così tanto, e anch'io ti amo alla follia… Voglio che quel momento sia ora!"
Senza che Davide realizzi cosa succeda o riesca a intervenire, Gurù apre rapidamente il cassetto di un mobile antico, e ne estrae un pugnale con la lama a sezione triangolare. Urlando per il dolore, con quello trapassa di colpo i suoi piedi, che diventano quelli di una ragazza normale. Poi bacia Davide e lo spoglia lentamente. I due ragazzi fanno l'amore.
In quei momenti il tempo passa in fretta, e Davide si addormenta con un'espressione beata sul volto, mentre Gurù piange, piange in silenzio. Di colpo Davide si sveglia, guarda l'orologio appoggiato sul comodino ed esclama: "Presto Gurù, l'ora è finita, devi fasciarti i piedi o morirai!"
Gurù, con le lacrime agli occhi, risponde: "Ascolta Davide, io ho riflettuto a lungo e ho capito che non voglio vivere una vita di sofferenza, rimpiangendo questo breve periodo di felicità e poi morire pazza come mia madre. Voglio spegnermi in questo momento, con ancora addosso la gioia di quest'ora, passata con l'unico uomo che mi abbia mai amato veramente. Addio Davide, ricordati di me."
Dopo aver detto questo, Gurù spira tra le braccia di Davide.
FINE
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