09 aprile 2006
Un fatto inspiegabile
In ogni tempo gli uomini hanno sempre finto la presenza concreta sulla Terra di spiriti dell’oltretomba. Questo per un bisogno di esorcizzare la morte, per renderla più vicina e quindi meno paurosa anche durante la vita. Ogni civiltà umana ha cercato di perseguire questo scopo con il massimo della cultura e della tecnologia disponibile. A questo servivano, nell’antico Egitto, gli dei del regno dei morti rappresentati sulle pareti interne delle piramidi. Per questo stesso scopo, nel medioevo i fantasmi venivano interpretati da uomini coperti da un lenzuolo o da una fitta bendatura. Successivamente, nel diciannovesimo secolo, durante le sedute spiritiche un medium poteva fingere il contatto con l’aldilà, facendo parlare i defunti attraverso di sé. Tutte manifestazioni spiegabili, dunque, e nulla di realmente ultraterreno.
C’è però un fatto, ambientato alla fine dell’Ottocento, che risulta ancora incomprensibile.
John Whiteman era un baronetto inglese che, per diletto, usava smascherare medium e impostori dell’occulto. Egli non lo faceva tuttavia perché convinto che gli spiriti non esistessero, ma anzi, al contrario, proprio perché sicuro della loro realtà non riusciva a sopportare i ciarlatani che speculavano su di loro. Il suo impegno lo portava a frequentare i salotti bene di Londra, dove sapeva si sarebbero svolte manifestazioni esoteriche, per smascherare i falsi medium.
Fu proprio il suo singolare passatempo a far sì che John Whiteman si trovasse, una sera all’imbrunire, a partecipare ad una seduta spiritica. Il rito era stato organizzato da alcuni uomini appartenenti alla nobiltà londinese, accompagnati dalle relative consorti. La riunione era presieduta da un certo Jack Dupin nel salotto della sua villa poco fuori la City. La stanza, che ad una prima occhiata appariva arredata normalmente, in realtà era stata attentamente studiata in modo che tutto, dagli antichi mobili alle tende porpora, avesse reso più lugubre la scena non appena si fosse lasciata accesa solo una candela, al centro del tavolo rotondo che serviva per la seduta, in mezzo alla sala. “Chissà quante farse organizza il ciarlatano in questa stanza.” pensava John Whiteman.
Il medium con alcune ridicole formule diede inizio al rito, e mentre gli altri le ascoltavano rapiti, Whiteman osservava quel grasso uomo prenderli in giro, nutrito in abbondanza dai soldi che così rubava agli sprovveduti. Sudava Jack Dupin, e il madore scivolava dalla sua fronte coperta dagli unti capelli neri fino a sotto le guance, sanguigne per il troppo alcol.
Erano alcune sere che John lo osservava bere vino fino a che non era ubriaco, alla locanda del Gallo Rosso, vicino al porto, da quando lo stava tenendo d’occhio. Era da molto che si preparava a smascherarlo.
Il medium sudava forse perché aveva riconosciuto in Whiteman l’uomo della locanda, o forse perché si era accorto del suo sguardo osservatore fisso su di lui, e non sui trucchi paraesoterici con teschi e simboli magici che stava eseguendo, e che tenevano incollati gli occhi degli altri. D’altronde John conosceva a memoria quei giochi che tutti i medium eseguivano prima della seduta vera e propria.
Dupin interruppe la litania annunciando che stava per cominciare la parte più importante del rituale, e dopo i soliti colpi battuti e le banali porte e finestre fatte sbattere da un complice nascosto, egli si mise a chiamare gli spiriti suggeriti dalle dame e ad imitarne le voci, fingendo risposte alle richieste dei presenti. Whiteman poteva smascherarlo subito con qualche abile domanda, ma preferiva tacere e aspettare, per fare in modo che l’indignazione dei presenti fosse maggiore, ma anche per vedere fino a che punto si sarebbe spinto il medium.
Dupin, dopo aver finto di far parlare personaggi famosi e alcuni antenati dei presenti, sui quali si era documentato dal momento in cui era stato fissato l’appuntamento fino a qualche ora prima della seduta, chiese con quale spirito i presenti volessero parlare per ultimo. John tolse la parola a tutti rispondendo subito “Un uomo qualunque!” Il medium rimase sorpreso da una simile repentina richiesta, e in silenzio per un istante. Quell’attesa fu interrotta da una voce che tuonò profonda: “Sono qui, e sono un uomo qualunque.” In quel momento apparve sopra la tavola, sospesa in aria, la figura di un uomo appena visibile e dai riflessi azzurrognoli. Il volto dello spirito era tumefatto, la testa reclinata in una insolita posizione, e il corpo ricoperto da un lungo e ampio vestito, fatto della sua stessa materia. Anche John Whiteman si spaventò: non aveva mai visto un’apparizione tanto reale. Lo spirito proseguì: “Sono Edward Ambaren e fino a qualche tempo fa, quando ero ancora in vita, ero un famoso produttore di seta. Immagino vorrete conoscere la mia storia. Dunque… mia moglie si chiamava Mary Hogson, figlia di un apicoltore della contea di Kent. Quell’uomo mi odiava, e pochi giorni dopo che Mary lo ebbe avvisato del nostro imminente matrimonio, il signor Hogson morì improvvisamente prima di poter fare l’ultimo discorso alla figlia, per cercare di distoglierla dal suo intento.
La prima notte di nozze, in cui avventatamente avevo passato poco meno di un’ora a festeggiare in una locanda con alcuni amici, quelli che Mary non sopportava, tornai a casa e la trovai incredibilmente pallida. Davanti ad una tazza di tè mi spiegò che lo spirito di suo padre le era apparso in casa, dicendole che se ormai non poteva nulla contro il nostro matrimonio, era però in grado di porre una condizione: Mary sarebbe dovuta rimanere vergine, e l’uomo aveva promesso vendetta se non fosse stato accontentato. Mary mi chiese di rispettare il volere del padre e io le risposi di sì, che l’avrei fatto. A dire il vero dissi così senza dare troppo peso alla cosa, solo per rincuorarla.
La nostra vita tornò a scorrere tranquilla, ma non ci dimenticammo mai di quel fatto. Rispettare il volere di Mary non fu poi così difficile, anche perché il lavoro mi teneva più tempo lontano da casa che non in famiglia, e potevo sfogare altrove i miei desideri. Passarono così degli anni senza che vi fosse problema alcuno.
Il dramma cominciò una notte. Io tornai a casa ubriaco, dopo che ero stato con gli amici in una locanda poco distante da casa. Una volta entrato vidi mia moglie già nel letto, e le saltai addosso. Lei si svegliò urlando e – cosa mi fece fare l’oblio dato dall’alcol! – le strappai le vesti che indossava. Lei gridò: “Fermo, ricordati della promessa allo spirito di mio padre!” e io le risposi che non me ne importava, perché non ci poteva più fare niente, quando un tenebroso “E così osi sfidare il mio spirito?” squarciò la notte e mi fece alzare lo sguardo. Davanti a me si trovava la figura di mio suocero, parvenza evanescente ma indissolubile, esattamente come Mary lo aveva descritto anni prima. “Non ti importa di me, eh? – proseguì lo spettro – Imparerai cosa succede a non rispettare uno spirito! Ti manderò contro l’unica compagnia e mia passione in vita, dopo mia figlia: le mie api, ancora sulla Terra.” Detto questo, la presenza scomparve.
Io rimasi dieci minuti nel terrore più completo. Quando stavo iniziando a calmarmi, e a pensare che forse si trattava solo di un’allucinazione causata dall’alcol e dalla contingenza, i miei orecchi si accorsero di uno strano ronzio, sempre più insistente. D’un tratto vidi un enorme sciame di api entrare dalla finestra. Io, disperato, urlai. Gli insetti mi furono addosso, cercai di fuggire ma questi mi oscurarono la vista e nella mia corsa impazzita io caddi sul pavimento. Mi contorsi molte volte, rapidamente, ma venni punto sempre di più. Il dolore era insopportabile. Mi misi a rotolare sul pavimento cercando di schiacciarle con il mio corpo e così io uscii dalla stanza giungendo sul corridoio. Continuai a rotolare senza capire dove mi trovassi finché scivolai giù dalle scale che conducevano in cantina. La mia tremenda corsa si arrestò solo quando sbattei contro la porta dello scantinato. Cadendo mi si era fratturata la spina dorsale; sentii le api pungermi, ma non potei fare niente, non potevo più muovermi per cacciarle o almeno allentare il dolore. Morii dopo un’ora di atroci sofferenze. Fu così che imparai a rispettare gli spiriti, e ora – disse rivolto al medium – lo capirai anche tu! Ho riservato per te la stessa sorte cui mio suocero mi ha condannato: verrai divorato dai miei bachi da seta!”
Dupin era così impietrito, che non si accorse degli insetti che avevano ormai coperto tutto il suo corpo. Solo quando questi cominciarono a morderlo, egli si mise ad urlare. Il medium cercò di togliersi di dosso i bachi, ma questi erano troppi, e già si stavano scavando a morsi dolorose gallerie sotto la sua pelle. L’uomo si percuoteva e si dimenava fino a cadere dalla sedia; le dame svenivano al vedere tale terrificante scena. Dupin si graffiava il corpo e il volto isterico, ma ormai era impossibile togliere i voraci insetti. La pelle del medium sanguinava ovunque, e mano a mano l’uomo stava smagrendo. Pochi momenti dopo egli era ridotto ad una pelle insanguinata appoggiata allo scheletro. Quando i bachi raggiunsero gli organi vitali, Dupin morì, sputando sangue in un ultimo profondo rantolo. Dopo qualche minuto gli insetti abbandonarono quel che restava del medium, lasciandone solo lo scheletro sul pavimento, sotto lo sguardo impietrito dei presenti.
FINE
"Un fatto inspiegabile" lo si può considerare il primo racconto che ho scritto. Ero giovane.
RispondiEliminaLo stile del racconto rivela le mie letture di Edgar Allan Poe, che in quel periodo divoravo.